Stanlio od Olio
Stanotte mi sono svegliato di soprassalto con in cuore che batteva a duemila, lo volete sapere il perchè?
Certo bambino impiccioni che vi dico quale è il motivo del mio interrompere il dolce sonno nel cuore della notte ed è: un atacco di cacarella ma forte ma forte che non ve lo potete per nulla immaginare. Sono corso al bagno ed appena ho fatto in tempo a tirare giu' i calzoni e fare la cacchina madonnina quanta ne ho fatta ne ho fatta proprio un monte...
Mentre ero sulla tazza ed oltre alle mi veci scendevano anche tre o quattro santi sono stato assalito da un dubbio:
chi era meglio tra Stanlio ed Olio?
Chi tra il grassone fanfarone o lo stecchino tonto faceva piu' ridere chi era il vero re delle comiche?
Aiutatemi a risolvere questo dubbio, sopratutto perchè non voglio passare un'altra notte seduto nella tazza del gabinetto a pensare a questo dubbio che volente o nolente mi affligge da quando ero un infante, dubbio che ha continuato ad afliggermi nel periodo adolesceziale e continua tuttora a tormentarmi le notti che ho la cacarella.
Perfavore aiutatemi adie
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sto piangendo dal ridere. Come fai a scrivere VECI invece di FECI? La cosa è geniale, sublime. Secondo me comunque nel 1911 pubblicò, con lo pseudonimo di Saba il suo primo libro, "Poesie", prefate da Silvio Benco a cui fece seguito, nel 1912, nelle edizioni della rivista "La Voce" la raccolta "Coi miei occhi (il mio secondo libro di versi)", ormai nota come "Trieste e una donna". Lo pseudonimo è di origine incerta, ma si pensa che lo scelse o in omaggio alla sua adorata balia, Peppa Sabaz, o in omaggio alle sue origini ebraiche: la parola saba' (ebraico: סבא) significa sia "nonno" che "antenato".
Risale a questo periodo l'articolo "Quello che resta da fare ai poeti" dove il poeta propone una poetica sincera, senza fronzoli e "orpelli" contrapponendo il modello degli Inni Sacri manzoniani a quello degli scritti d'annunziani. L' articolo, presentato per la pubblicazione alla rivista vociana, venne però rifiutato in seguito al veto di Slapater e sarà pubblicato solamente nel 1959.
Nel maggio dello stesso anno il poeta si trasferì con la famiglia, per superare un periodo di crisi dovuto al tradimento della moglie, dapprima a Bologna, dove collaborò al quotidiano "Il Resto del Carlino", e nel febbraio del 1914 a Milano dove assunse l'incarico di gestire il caffè del Teatro Eden.
[modifica] Lo scoppio della grande guerra
Allo scoppio della grande guerra venne richiamato alle armi dapprima a Casalmaggiore in un campo di soldati austriaci prigionieri, poi come dattilografo in un ufficio militare, e infine, nel 1917, al Campo di aviazione di Taliedo, dove venne nominato collaudatore del legname per la costruzione degli aerei.
Risale a questo periodo la lettura di Nietzsche e il riacutizzarsi delle crisi psicologiche.
[modifica] Il Canzoniere
Terminata la guerra e ritornato a Trieste, dopo aver fatto per parecchi mesi il direttore di un cinematografo del quale era proprietario suo cognato e scritto alcuni testi pubblicitari per la "Leoni Films", rilevò, grazie all'aiuto della zia Regina, la libreria antiquaria Mayländer in società con Giorgio Fano rimanendone presto unico proprietario dal momento che Fano gli cedette la sua quota. Intanto prendeva corpo la prima redazione del "Canzoniere" che vedrà la luce nel 1922 con il titolo "Canzoniere (1900-1921)" che raccoglieva tutta la sua produzione poetica in redazione leggermente modificata confronto alla bozza del 1919.
In quello stesso anno conobbe e strinse amicizia con Giacomo Debenedetti e iniziò a collaborare alla rivista "Primo Tempo" sulla quale apparsero alcune sezioni del nuovo libro, "Figure e Canti", che verrà pubblicato nel 1926.
Iniziò a frequentare i letterati riuniti intorno alla rivista "Solaria" che nel 1928 gli dedicò un intero numero. Fra il 1929 e il 1931, a causa di una crisi nervosa più intensa delle altre, decise di mettersi in analisi a Trieste con il dottor Edoardo Weiss, allievo di Freud che nel 1932, con la "Rivista italiana di psicoanalisi" indrodusse in Italia gli studi del medico viennese.
La critica intanto andava scoprendo il poeta e i nuovi giovani scrittori e poeti, come Giovanni Comisso, Pier Antonio Quarantotti Gambini e Sandro Penna, cominciavano a considerarlo un maestro.
[modifica] La seconda guerra mondiale
Nel 1938, poco prima del secondo conflitto mondiale, a causa delle leggi razziali, fu costretto a cedere formalmente la libreria al commesso Carlo Cerne e ad emigrare in Francia, a Parigi. Ritornato in Italia alla fine del 1939, si rifugia prima a Roma, dove Ungaretti cerca, ma senza risultato, di aiutarlo e poi nuovamente a Trieste deciso ad affrontare con gli altri italiani la tragedia nazionale.
Dopo l' 8 settembre 1943 fu però costretto a fuggire con Lina e la figlioletta e a nascondersi a Firenze cambiando appartamento per numerosissime volte. Gli sarà di conforto l'amicizia di Montale che, a rischio della vita, andrà a trovarlo ogni giorno nelle case provvisorie e quella di Carlo Levi. Uscirà intanto a Lugano, con una prefazione di Gianfranco Contini, la raccolta "Ultime cose" che verrà poi aggiunta nell'edizione definitiva del Canzoniere che uscirà a Torino dall'editore Einaudi nel 1945.
[modifica] Gli anni del dopoguerra
Nel dopoguerra Saba visse per un periodo di nove mesi a Roma e poi a Milano dove rimase per circa dieci anni, tornando periodicamente a Trieste. In questo periodo collaborò al "Corriere della Sera" , pubblicò da Mondadori "Scorciatoie", la sua prima raccolta di aforismi e "Storia e cronistoria del Canzoniere".
Nel 1946 Saba vinse ex aequo con Silvio Micheli il primo Premio Viareggio per la poesia del dopoguerra al quale seguirono nel 1951 il Premio dell'Accademia dei Lincei e il Premio Taormina mentre l' Università di Roma gli conferì, nel 1953, la laurea honoris causa.
Nel 1955, stanco e ammalato, sconvolto per la malattia della moglie, si fece ricoverare in una clinica di Gorizia dove, il 25 novembre 1956, lo raggiunse la notizia della morte della sua Lina. Qui continua a scrivere e il 25 agosto 1957, nove mesi dopo la morte della moglie, anche il poeta muore.
[modifica] La poetica
Saba si formò nell'ambiente culturale mitteleuropeo triestino del primo '900, guardando a Nietzsche e a Freud ma anche alla grande tradizione ottocentesca italiana, soprattutto a Leopardi. Cominciò a scrivere nei primi anni del secolo i suoi primi lavori: Poesie dell'adolescenza e giovanili, 1900 – 1907, e Versi militari, 1908.
Seguirono i capolavori: Trieste e una donna (1910 - 1912) e Serena disperazione (1913 - 1915), in cui - con linguaggio semplicissimo e privo di retorica - il poeta esprime sentimenti quotidiani, ed affetti domestici con ricchezza di sfumature e contrasti psicologici.
Il colloquio confidenziale con la realtà (secondo la lezione pascoliana) si arricchisce in seguito di toni lirici e si volge ai temi della gioia, del dolore, della morte (Cose leggeri e vaganti, 1929 - 1931, L'amorosa spina, 1920, Preludio e canzonette, 1922 - 1923, Cuor morituro, 1925 - 1930, Preludio e fughe, 1928 – 1929, Il piccolo Berto, 1929 - 1931) e gradatamente la poesia diviene riflessione esistenziale ed accettazione rassegnata del tempo che fugge (Parole, 1933 - 1934, Ultime cose, 1935 – 1943, Varie, 1944, Mediterranee, 1946, raccolte poi nel 1948 nel Canzoniere).
La produzione letteraria di Saba vede negli ultimi anni aggiungersi al lirismo proprio del poeta il motivo moralistico e sentenzioso delle prose di Scorciatoie e raccontini (1946) e della raccolta Uccelli, quasi un racconto (1951). Postumi furono pubblicati il romanzo Ernesto ed il volume Amicizia.
Per contro, i primi versi di Saba erano prosastici, incerti, il motivo psicologico fondamentale era dato dalla malinconia, le figure rappresentate simboli quotidiani di una vita grigia e comune. Eppure, il linguaggio che dal prosaico diviene talvolta - secondo alcuni - sciatto, e la costante aderenza al reale non sfociano nel verismo provinciale ma esprimono un'intensa carica sentimentale che diviene canto.
I luoghi domestici e le figure care e quotidiane accompagnano e consolano la vita malinconica del poeta ed il suo canto esprime un desiderio di affratellamento. È questa una costante di Saba. Anche le poesie come quelle della raccolta Preludio e fughe (1927 -1928) che poterebbero apparire come una pausa meramente musicale, racchiudono un attento ascolto delle voci interiori e sono spesso simbolo di sentimenti sofferti e di memorie.
[modifica] Ricordo e nostalgia del passato
Nelle ultime raccolte, accanto alla contemplazione assorta della vita si insinuano il ricordo e la nostalgia del passato, spesso affidati alla musicalità dei versi. Persistono, tuttavia, gli aspetti domestici e le figure amate, i versi sono, però, più scanditi e la composizione è breve e incisiva.
Restano immutabili i temi originari: i fanciulli di Trieste, le vie solitarie, i caffè fumosi del porto, le donne amate. Sono temi immobili, poiché Saba concepisce la vita come immutabile: l'uomo - ed in questo segue il pensiero di Leopardi - spera sempre un domani migliore, anche se sa che il nuovo giorno porterà le stesse sofferenze di quello trascorso.
Saba è ritenuto una delle voci migliori e più riconoscibili del '900 italiano, per la fedeltà ai propri temi, la ricchezza sentimentale, l'impegno umano, l'itinerario spirituale e stilistico non condizionato dalle mode. La sua poesia è, soprattutto, storia della sua esistenza, contemplata con la fermezza di chi sa trovare nel dolore e nella pena il segno del destino umano, in nome del quale si sente unito agli altri uomini (Leopardi – La ginestra).
Mentre i poeti del periodo fra le due guerre tendono ad una riflessione e ad una grande consapevolezza letteraria, che conduce all'ermetismo, in Saba è evidente la volontà di esprimersi in modi semplici, musicali, a volte con notazioni diaristiche, anche se l'autobiografismo gradualmente si dissolve nel canto. Il fondo costante di Saba è la consapevolezza malinconica di una esistenza immutabile e la malinconia è alleviata dalla contemplazione delle cose quotidiane, dal sentirsi vivere, dall'accettare le passioni come sempre diverse e sempre le stesse.
I paesaggi non sono descritti, bensì evocati dal ricordo e dall'affetto che modulano un canto monotono, ma intimo e suggestivo. Di Saba esistono due documenti critici di altissimo valore: Quello che resta da fare ai poeti (1911), articolo rifiutato dalla Voce e la Storia e cronistoria del Canzoniere (1948) che appartiene all'ultima fase della sua opera.
[modifica] La "poesia onesta"
L'apparente contraddizione tra la poesia onesta propugnata nell'articolo e la critica della propria opera, attenta a sottolineare i meriti e a trascurare le manchevolezze, si risolve nell'essere il Saba critico di sé stesso e, quindi, in possesso di una verità diretta che fa della seconda opera la conclusione logica di una vita trascorsa al servizio della poesia.
La prima ragione di Saba, la sua umanità, fa sì che la sua poesia sia un dono per gli altri (Pascoli), con la speranza di giungere ad un discorso fatto di umiltà, semplicità e pietà. L'esame critico si riallaccia all'affermazione del 1911: - ai poeti resta da fare la poesia onesta (N.B. – si è in pieno clima di avanguardia, il manifesto di Marinetti è del 1909).
Saba contrappone il Manzoni degli Inni sacri (versi mediocri ma immortali perché onesti, frutto di autentici sentimenti), al D'Annunzio delle Laudi e dalla Nave (versi magnifici, ma effimeri perché disonesti in quanto artificiali, non rispondenti ai sentimenti, bensì costruiti ad effetto).
Saba ha quindi già ben chiara la nozione di una poesia che non deve essere frutto di artificio, di finte passioni, di menzogna, esclusivamente volta ad ottenere un bel risultato. Compito dello scrittore è far collimare contenuto e forma, magari limitando la spinta emotiva, piuttosto che correre il rischio di esagerare e mentire. Il poeta, lo scrittore in genere, deve essere, tanto nella vita, quanto nella letteratura, un uomo onesto.
Tale principio, che è il punto di partenza di Saba, è ancora determinante al momento della critica della propria opera e tale possibilità critica gli viene dalla consapevolezza di ciò che egli ha inteso realizzare (non è crepuscolare, come a volte è definito, per gli stessi motivi per i quali rinunzia al dannunzianesimo e tutto ciò che può essere o sembrare posa).
Saba parla della necessità di sostenere con il ritmo l'espressione della passione, fissando così i limiti dello strumento, a vantaggio del sentimento da esprimere. Saba mira al giusto equilibrio tra sentimento ed arte, tra contenuto e forma, seguendo l'ispirazione, senza timore di ripetere sé stesso o gli altri, (al contrario dei simbolisti, sostenitori della poesia pura). Saba si accosta ad una poesia discorsiva, capace di accogliere tutte le occasioni di ispirazione che la vita può offrire.
[modifica] Poeta, non letterato di professione
Il poeta deve rileggersi cercando di rilevare la corrispondenza fra stati d'animo e versi, tra pensato e scritto, mediante moduli tradizionali e semplici, in netto contrasto con le soluzioni allora di moda. Il poeta, inoltre, deve abbandonare il modello del letterato di professione (D'Annunzio) rifiutando sia le soluzioni dei futuristi, sia quegli esiti dannunziani che hanno prodotto una poesia artificiale e la collusione tra letteratura e politica.
Parimenti Saba rifiuta la ricerca esasperata dell'originalità e la sperimentazione eccessiva e gratuita, mirando, invece, ad una equilibrata opera di revisione, di selezione e di rifacimento. Al contrario di quanto vede fare intorno a sé, Saba adotta il più semplice dei linguaggi e propone un discorso non drammatico, alieno da violente speculazioni, cercando di sviluppare la naturale capacità dell'uomo – Saba nello stabilire il contatto con gli altri, sulla base di uno scambio fondato su una diversa, ma sempre semplice ed umana interpretazione dell'esistenza.
Saba vive pazientemente aspettando la serena disperazione, ossia la serenità che viene dalla volontaria partecipazione a ciò che deriva dall'esperienza del mondo, dalla ricerca dell'equilibrio e dal senso delle proporzioni, mentre la disperazione è la consapevolezza dell'inalterabilità della vita e dell'inevitabilità del destino.
A tale consapevolezza, Saba contrappone la pazienza, il gusto dell'interpretazione, l'amore della vita, per arrivare non alla spiegazione (alla maniera di Montale) bensì a mitigare l'impatto con la realtà.
La malinconia e la dolente consapevolezza dell'esistenza, la meditazione sul trascorrere del tempo, diviene accorata saggezza della maturità e un doloroso amore della vita. Che trova voce nel dialogo interiore fra passato e presente e la consapevolezza delle propria vicissitudini esistenziali diviene coscienza della tragedia storica di tutto un popolo, sempre restando aliena dalla retorica.
[modifica] Opere
[modifica] Poesia
Poesie, Casa editrice italiana, Firenze 1911
Coi miei occhi (il mio secondo libro di versi), Casa editrice italiana, Firenze 1912
La serena disperazione, Trieste 1920
L'amorosa spina, Trieste 1921
Il canzoniere (1900-1920), Trieste 1921
Preludio e canzonette, in "Primo Tempo", 15 luglio 1922
Autobiografia.I Prigioni, in "Primo tempo", 9-10 ottobre 1923
Figure e canti, Milano 1926
L'Uomo, Trieste 1926
Preludio e fughe, Firenze 1928
Tre poesie alla mia balia, Trieste 1929
Ammonizione ed altre poesie, Trieste 1932
Tre composizioni, Milano 1933
Ultime cose, Lugano 1944
Il Canzoniere (1900-1945), Torino 1945
Mediterranee, Milano 1946
Il Canzoniere (1900-1947), Torino 1948
Uccelli, Trieste 1950
Uccelli.Quasi un racconto, Milano 1951
Epigrafe.Ultime prose, a cura di Giacomo Debenedetti, Milano 1959
Il Canzoniere (1900-1954), Torino 1957
[modifica] Narrativa e prose varie
Scorciatoie e raccontini, Milano 1946
Storia e Cronistoria del Canzoniere, Milano 1948
Ricordi.Racconti 1910-1947, Milano 1956
Epigrafe.Ultime prose., a cura di Giacomo Debenedetti,Milano 1959, cit.
Quel che resta da fare ai poeti, Edizioni dello Zibaldone, Trieste 1961
Ernesto, Einaudi, Torino 1975 (da questo romanzo il film omonimo di Salvatore Samperi).
[modifica] Epistolari
Il vecchio e il giovane (carteggio con P.A. Quarantotti Gambini), a cura di L. Saba, Milano 1965
Lettere ad una amica.Settantaquattro lettere a Nora Baldi, Torino 1966
Saba, Svevo, Comisso, Lettere inedite, a cura di M.Sutor e con presentazione di G.Pullini, Padova 1968
L'adolescenza del Canzoniere e undici lettere, a cura di S.Miniussi e Folco Portinari, Torino 1975
Amicizia, a cura di C.Levi, Milano 1976 (comprende lettere, facsimili di autografi e dattiloscritti)
Lettere a un amico vescovo, a cura di G.Fallani, Vicenza 1980
La spada d'amore. Lettere scelte 1902-1957, a cura di A. Marcovecchio, presentazione di Giovanni Giudici, Milano 1983
Atroce paese che amo, Lettere famigliari (1945-1953), a cura di G.Lavezzi e R.Saccani, Milano 1987
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