venerdì, maggio 18, 2007

Sogno





Cari Miei oggi vi chiederò di decifrarmi un sogno da me medesimo fatto:

Stanotte ho sognato che facevo partorire una volpe davanti all'ingresso del museo della Madonna del Parto (di Piero della Francesca) a Monterchi!!!!!!!!!!!!!

Qualcuno mi sa spiegare la simbologia di questo sogno?

E se scappano un paio di numeri del Lotto se li giocate e vincete ricordatevi di me.


Adie

P.S. sono sempre io_me_stesso_me ma facendo l'indirizzo Gmail non so come mai mi è toccato cambiare nik Teconologia mmmm....

ArAdie

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13 Comments:

Blogger Lale said...

Beh, ovviamente tutto si riferisce al fatto che... no via... poi si va sul blasfemo e viene il santone bianco a chiuderci baracca...

Comunque, traducendolo in termini non volgari: la volpe, simbolo della furbizia, genera un altro discendente proprio davanti al simbolo di quella parte di mondo che vorrebbe lasciarci ancora nell'ignoranza e nel medioevo.

Cosi' impara subito a conoscere che gente c'e' in giro.

12:04 PM  
Anonymous Anonimo said...

Evidentemente il tuo sogno significa che le tasse sono la più bella invenzione del mondo, perchè con i soldi dello stato si finanziano:

- la sanità pubblica
- la scuola pubblica
- i servizi pubblici
- la cooperazione internazionale
- le pensioni
- la manutenzione delle strade
- l'illuminazione pubblica
- la sicurezza
- il servizio civile
- il reddito sociale
- la ricerca
- gli acquedotti
- e tante altre cose

Pagando le tasse diventiamo tutti più ricchi.

Le tasse sono una forma di assicurazione sulla vita.

Ripartendo le spese generali non avvengono ingiustizie.

Però bisogna controllare l'utilizzo di ogni centesimo in modo che non avvengano sprechi di risorse perchè con le tasse si finanziano anche:

- i politici
- gli appalti mafiosi
- la corruzione
- le strutture faraoniche
- la repressione
- le guerre
- le carceri
- gli approfittatori
- ... ... ...

Però perfavore si possono semplificare i pagamenti? Come?

Con l'abolizione del denaro contante: pagamenti solo per telefonino o carta di credito e tassazione diretta computerizzata di ogni transazione finanziaria.

Però in questo modo si legalizzerebbe di fatto la droga, la prostituzione e la corruzione di arbitri, politici e giudici. Tutti saprebbero tutto di tutti e scomparirebbero la criminalità organizzata, i traffici illeciti e l'evasione fiscale.

Che mazzata per il sistema!

12:58 PM  
Anonymous Anonimo said...

che bel sogno amorevolmente concepito. Fossi te mi informerei leggendo le opere di:
MICHELE ALACEVICH

Le origini della Banca Mondiale

Bruno Mondadori



LUCIA ANNUNZIATA

1977. L'ultima foto di famiglia

Einaudi



PAOLA ANTOLINI

Vivere per la patria: Bice Rizzi (1894-1982)

Museo Storico in Trento



EDOARDO BALDUZZI

L'albero della cuccagna. 1964-1978 gli anni della psichiatria italiana

Edizioni Stella



MATTEO BARAGLI

Tracce di un popolo dimenticato. Famiglie di braccianti e pigionali nella Toscana fascista

Centro editoriale toscano



EMILIO BAROCCI, PIEROBON F.

Le privatizzazioni in Italia

Carocci



FRANCESCO BENVENUTI

La Russia dopo l'URSS

Carocci



VANDO BORGHI, RIZZA R.

L'organizzazione sociale del lavoro

Bruno Mondadori



PIERO CALAMANDREI

Zona di guerra. Lettere, scritti e discorsi (1915-1924)

Laterza



GEORGES CANGUILHEM

Il fascismo e i contadini

Il Mulino



RICCARDO CAPORALE

La Banda Carità (San Marco) Storia del Reparto Servizi Speciali (1943-45)

San Marco Litotipo



CARLO CARBONI (cur.)

Élite e classi dirigenti in Italia

Laterza



ANTONIO CARDINI (cur.)

Il miracolo economico italiano (1958-1963)

Il Mulino



R. CAROLI, GATTI, F.

Storia del Giappone

Laterza



VALERIO CASTRONOVO (cur.)

Album italiano. Vivere insieme. Verso una società multietnica

Laterza



C. CASULA, AZARA L.

UNESCO 1945-2005. Un'utopia necessaria

ed. Città Aperta



ALBERTO CAVAGLION (cur.)

Dal buio del sottosuolo. Poesia e lager

FrancoAngeli



ANDREA COLLI

Capitalismo famigliare

Il Mulino



ALESSANDRO COLOMBO

La guerra ineguale. Pace e violenza nel tramonto della società internazionale

il Mulino



SERGE CORDELLIER

Dizionario di storia e geopolitica del XX secolo

Bruno Mondadori



GABRIELLA CORONA, NERI SERNERI S. (cur.)

Storia e ambiente

Carocci



ELENA CORTESI

Lettere a destinazione. Lettere di forlivesi, cesenati e riminesi fermate dalla censura durante la Seconda guerra mondiale

Acquacalda Editore



GIORGIO COSMACINI, DE FILIPPIS M., SANSEVERINO P.

La peste bianca.Milano e la lotta antitubercolare (1882-1945)

FrancoAngeli



PIERO CRAVERI

De Gasperi

Il Mulino



GIOVANNA D'AMICO

Quando l'eccezione diventa norma. La reintegrazione degli ebrei nell'Italia postfascista

Bollati Boringhieri



GIOVANNA D'AMICO (cur.)

Razzismo, antisemitismo, negazionismo

ISRAT



LUCIO D'ANGELO

Il radicalismo sociale di Romolo Murri (1912-1920)

FrancoAngeli



GYORGY DALOS

Ungheria, 1956

Donzelli



DARIO DE BORTOLI

Jack Costa. L'epopea di Giovanni Dalla Costa, il trevisano che cercò l'oro in Alaska, e lo trovò

FrancoAngeli



FRANCESCO FAETA

Fotografi e fotografie. Uno sguardo antropologico

FrancoAngeli



PAOLO FAVILLI

Marxismo e storia

FrancoAngeli



STEFANIA FICACCI

Tor pignattara. Fascismo e resistenza di un quartiere romano

FrancoAngeli



FRANCESCO FISTETTI

La crisi del marxismo in italia

Il Melangolo



BICE FOÀ CHIAROMONTE

Ebrea, donna e comunista

Memori



PATRIZIA GABRIELLI, GIGLI L.

Arezzo in guerra

Carocci



ENRICO GALAVOTTI

Il giovane Dossetti . Gli anni della formazione 1913-1939

Il Mulino



GIULIA GALEOTTI

Storia del voto alle donne in Italia

Biblink



LUCIANO GALLINO

Italia in frantumi

Laterza



FRANCO GARELLI

L'Italia cattolica nell'epoca del pluralismo

Il Mulino



GINO GIUGNI

La memoria di un riformista

Il Mulino



ANDREA GIUNTINI (cur.)

Le Poste in Italia. 3. Tra le due guerre 1919-1945

Laterza



LUCA GORGOLINI (cur.)

Il lavoro nelle Marche. Aspetti e testimonianze nel Novecento

Bononia University Press



SANDRO GOZI

Il governo dell'Europa

Il Mulino



LAURA GRAZI

L'Europa e le città . La questione urbana nel processo di integrazione europea (1957-1999)

Il Mulino



PRIMO GREGANTI, CONSOLI L.

Scusate il ritardo

Memori libri



RENZO GUOLO

L'Islam è compatibile con la democrazia?

Laterza



IRSIFAR-ISTITUTO ROMANO PER LA STORIA D'ITALIA DAL FASCISMO ALLA RESISTENZA

Memorie di scuola. Indagine sul patrimonio archivistico delle scuole di roma e provincia

FrancoAngeli



EGIDIO IVETIC

Le guerre balcaniche

Il Mulino



CLAUDIA LAZZERI (cur.)

Renato Fucini-Emilia Peruzzi (1871-1899)

Firenze University Press



MIRIAM MAFAI

Diario italiano. 1976-2006

Laterza



ALBERTO MALFITANO, ADORNI M.

Un'autostrada per l'Appennino, a cura di Angelo Varni

Bononia University Press



MASSIMO MONTANARI (cur.)

Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi

Laterza



GIUSEPPE MAMMARELLA

Storia d'Europa dal 1945 a oggi

Laterza



BRUNELLO MANTELLI

Da Ottone di Sassonia ad Angela Merkel. Società, istituzioni, poteri nello spazio germanofono dell'anno Mille

Utet



AMORENO MARTELLINI

Fiori nei cannoni

Donzelli



SAURO MATTARELLI (cur.)

Frontiere del repubblicanesimo

FrancoAngeli



PIER VINCENZO MENGALDO

La vendetta è il racconto. Testimonianze e riflessioni sulla Shoah

Bollati Boringhieri



PAOLO MURIALDI

Il giornale

Il Mulino



GIUSTINA ORIENTALE CAPUTO (cur.)

Gli immigrati in campania. Evoluzione della presenza, inserimento lavorativo e processi di stabilizzazione

FrancoAngeli



PIERLUIGI PALLANTE

La tragedia delle “foibe”

Editori Riuniti



GIUSEPPE PANTOZZI

Il governo della beneficenza in Tirolo. Secoli XVIII-XX

Grenzen



GIUSEPPE PARLATO

Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948

Il Mulino



MATTEO PASETTI (cur.)

Progetti corporativi tra le due guerre mondiali

Carocci



CARLO PELANDA

La grande alleanza. L'integrazione globale delle democrazie

FrancoAngeli



MATTEO PIZZIGALLO (cur.)

Amicizie mediterranee e interesse nazionale 1946-1954

FrancoAngeli



ALESSANDRO POLSI

Storia dell'ONU

Laterza



LUIGI PUNZO

Utopia e rivoluzione

FrancoAngeli



LEONARDO RAITO

Il PCI e la resistenza ai confini orientali

Temi



ELENA RAMBALDI

Rotary International, a “Brotherhood of Leadership”

Carocci



MAURIZIO RIDOLFI

Rituali Civili

Gangemi Editore



ERNESTO ROSSI

Epistolario 1943-1967. Dal Partito d'Azione al centro-sinistra

Laterza



ANDREA SCARTABELLATI

Prometeo inquieto. Trieste 1855 - 1937. L'economia, la povertà e la modernità oltre l'immagine della città della letteratura

Aracne



SALVATORE SECHI

Compagno cittadino. Il Pci tra via parlamentare e lotta armata

Rubbettino



GIOVANNI SIRI

La psiche del consumo. Consumatori, desiderio e identità

FrancoAngeli



ANDREA SPIRI (cur.)

Bettino Craxi il socialismo europeo e il sistema internazionale

Marsilio



JOACHIM STARON

Fosse Ardeatine e Marzabotto . Storia e memoria di due stragi tedesche

Il Mulino



MARIO STRATI

Corrado Alvaro e il “Corriere della Sera”

Carocci



SIMONE TOSI (cur.)

Consumi e partecipazione politica. Tra azione individuale e mobilitazione collettiva

FrancoAngeli



MARIO TRAMPETTI

Il Brasile. Tra imperativi economici ed aspirazioni di potenza (1945-2000)

FrancoAngeli



PIERO TREVES

Scritti novecenteschi

Il Mulino



VALERIO VARINI

L'opera condivisa. La città delle fabbriche. Sesto S. Giovanni 1903-1952. L'industria

FrancoAngeli



VITTORIO VIDOTTO

Roma contemporanea

Laterza

1:13 PM  
Blogger Marco Ferri said...

Anche se non gliene frega nulla a nessuno, informo ugualmente che ho aggiornato il mio blog (ogni tanto mi ricordo di averne anche io, uno):

http://marcoferri.blog.aruba.it

così scoprirete cosa ho fatto il primo maggio invece di lavorare/pulire-la-casa/celebrare-la-festa-dei-lavoratori...

Invece riguardo al sogno, non saprei che dire. Secondo Freud tutti gli oggetti lunghi che si sognano sono dei cazzi. Tutte le stanze/porte/grotte invece sono degli organi genitali femminili. Insomma, secondo lui, tutto si riconduce al sesso. Anche il tuo sogno? Può darsi... (sono stato utile come un freezer al Polo Nord, eh?)

1:15 PM  
Blogger ggrillo said...

12 78 6

8:18 PM  
Anonymous Anonimo said...

terno secco su Bari

3:32 AM  
Anonymous Anonimo said...

Io imputtano la Madonna

12:40 PM  
Anonymous Anonimo said...

Va là, va là, qua non ha capito niente nessuno. E' evidentissimo il significato del tuo sonno: per ogni ragazza disponibile per una storia di amore duratura, o semplicemente ad avere un rapporto sessuale, ci sono almeno 500 uomini pronti a tutto, anche ad ammazzarsi fra loro per il controllo del territorio, a derubare l'intera comunità per ostentare ricchezze, o andare in guerra per sottomettere le popolazioni straniere e portare in patria i bottini e le schiave sottomesse.

C'è bisogno di puttane.

La professione più simile al mestiere più antico del mondo è sicuramente quella specialistica di tipo medico-infermieristico (pulizia dei denti , esame del sangue, elettrocardiogramma, visita oculistica... ). Va fatta con la stessa preparazione e con la stessa attenzione nei riguardi del cliente, ci vuole il luogo adatto, strumenti professionali, conoscenza del corpo umano. Ma di più perchè spesso richiede l'utilizzo di parti intime e mucose, e la messa in gioco corporale totale.

E' un mestiere importante che non tutte le persone sono in grado di svolgere.

Ci vuole dedizione, preparazione, competenza, abilità pratica, amore e coraggio.

Fra i mestieri tipicamente femminili è forse quello che va stimato di più soprattutto per via della discriminazione che storicamente questa categoria professionale ha dovuto sopportare.

In genere, con le dovute eccezioni, le puttane sono tutte donne fantastiche.

Poi ognuno va dal dentista con cui si trova meglio o che gli conviene di più. Lo stesso per qualsiasi altro tipo di prestazione medica o infermieristica. Però le puttane sono al top fra le categorie professionali femminili.

La prostituzione è quindi un mestiere dignitosissimo, di tipo medico-infermieristico, che va valorizzato con l'istituzione di una scuola di formazione professionale e un esame da superare per poter esercitare in proprio, in cooperativa o come dipendenti. Il prezzo di una prestazione deve corrispondere a quello di una visita specialistica privata.

Va istituito anche un servizio gratuito per persone non abbienti e, nel caso di scarsità di professioniste, va pareggiata la domanda con l'offerta attraverso il servizio civile obbligatorio femminile retribuito, a sorte, da svolgere prostituendosi.

Ben vengano altre idee per risolvere il problema, ma la verità è questa: non ci sono donne per tutti.

1:24 PM  
Anonymous Anonimo said...

a si ti volevo ricordare che:
1. Comme pour l'éducation, les traités de 1957 (instituant l'un la CEE et l'autre l'Euratom) ne faisaient aucune référence à la culture: la conception économiste à la base de ces deux textes ne laissait pas beaucoup de marge à d'éventuelles interprétations qui auraient permis d'élargir le champ d'application des traités. En effet, après l'échec de la Communauté européenne de défense (CED), les six Etats membres de l'époque avaient dû se replier sur la construction d'une Communauté économique, basée sur la mise en place d'un marché commun couvrant une large gamme de biens et de services; en une dizaine d'années la politique agricole commune (Pac) ainsi que la politique commerciale virent le jour, tandis que les droits de douane industriels étaient totalement éliminés et d'autres politiques étaient en train de se façonner. Quant au traité Euratom, il est évident qu'à la fin des années '50, l'énergie nucléaire était unanimement considérée comme étant un choix obligé pour l'avenir. Ce contexte semblait exclure toute velléité visant, en quelque sorte, à “communautariser” la culture.



2. Et pourtant. Dans les grandes et dans les petites entreprises, le facteur humain est fondamental pour le succès ou pour l'échec d'un projet. Or, comme dans le cas de l'éducation, l'homme qui eut le mérite de déclencher un processus qui, compte tenu du manque de bases juridiques et de l'hostilité de la part de certains Etats membres pour tout projet pouvant être interprété comme une tentative plus ou moins détournée d'élargir les compétences communautaires, porte le nom d'Altiero Spinelli. Ce dernier, membre de la Commission instituée en juillet 1970, avait pour portefeuille la politique industrielle. Non conformiste, doté d'une imagination débordante, l'auteur principal du manifeste en faveur d'une fédération européenne (qu'il rédigea en 1943 dans l'île bagne de Ventotene ou il purgeait une partie de la peine que lui avait été infligée par le tribunal spécial fasciste: 16 ans de régime pénitencier au total) s'était demandé si, à la lumière d'une recherche approfondie, l'on ne pourrait pas repérer des points d'ancrage dans le traité, permettant d'envisager une couverture juridique pour des actions du ressort de l'éducation et de la culture.



3. Ce fut ainsi que Spinelli chargea ses services de mettre sur pied un embryon de structure administrative, le Groupe Enseignement et Education qui commença à travailler sur ces questions dès juillet 1971. Or, en ce qui concerne l'éducation, la tâche, bien que rude, ne se présentait pas comme insurmontable. En premier lieu les possibilités d'ancrage au traité étaient assez facilement décelables, quoique contestables par tous ceux qui, pour des raison de principe s'opposaient à l'idée même d'une compétence communautaire en la matière. En effet, comment réaliser “une union sans cesse plus étroite entre les peuples européens” (préambule du traité), promouvoir “l'amélioration des conditions de vie et de travail” (art. 117), la coopération en matière de “formation et de perfectionnement professionnel” (art. 118), garantir la libre circulation, la non-discrimination et “la reconnaissance mutuelle des diplômes, certificats et autres titres” (art. 57) en faisant totalement abstraction du rôle de l'éducation? Par ailleurs la décision du Conseil du 2 avril 1963 sur les principes généraux devant guider une politique commune de formation professionnelle (art. 128) semblait un instrument apte à enrichir la réflexion quant au lien entre formation professionnelle et enseignement général 1.

En second lieu, le contexte tel qu'il se présentait en 1971 était devenu plus favorable à la prise en compte de l'investissement dans les ressources humaines, notamment en raison de la crise économique et du chômage persistants dans les pays européens. L'Europe communautaire faisait toujours la part belle à l'économie, mais elle commençait à entrevoir d'autres dimensions.

C'est ainsi que, sur la base des travaux du Groupe Enseignement et Education , la Commission chargea le professeur Henry Janne de réfléchir au contenu d'une politique communautaire de l'éducation. Entre temps s'était tenue, bien que dans un cadre intergouvernemental (“ministres de l'éducation nationale représentant des Etats membres réunis au sein du Conseil”), la première réunion de ministres au niveau communautaire (novembre 1971). Pour sa part, et sur la base du rapport établi par le prof. Janne, Spinelli présenta à la Commission, qui l'adopta en décembre 1972, une communication dans laquelle il prévoyait “la mise au point d'un plan d'action communautaire à long terme assorti des dispositions institutionnelles appropriées”. Le terrain était donc préparé pour jeter les bases de celle qui deviendra, quatre années plus tard, la coopération en matière d'éducation de la Communauté de l'époque, embryon des programmes actuels si importants pour un nombre croissant de jeunes européens.



La ténacité d'un fonctionnaire

4. Autre son de cloche du côté culture. Dans ce contexte, la recherche d'un ancrage communautaire en matière culturelle se présentait plus difficile, le traité ne comportant pas d'articles pouvant offrir une couverture, même très indirecte à une politique culturelle au niveau communautaire. Très intelligemment, Robert Grégoire, le fonctionnaire de la Commission qui assumait la tâche de réfléchir sur ce que la Communauté pouvait entreprendre dans une enceinte qui semblait aussi éloignée des dispositions du traité tel que le secteur culturel, s'efforçait de démontrer que la Commission avait le droit et le devoir d'affronter les besoins de la culture puisqu'il s'agissait de besoins de nature économique et sociale entrant parfaitement dans le cadre des dispositions du traité. Grégoire, dans le mémorandum qu'il soumettait à la Commission, décomposait le concept abstrait de culture dans ses contenus concrets (les travailleurs culturels et leur droit d'être assimilés à tout autre travailleur européen; les biens culturels pour lesquels, en vertu des dispositions du traité, il devait y avoir des règles communes tant pour leur mobilité que pour leur protection...). Ainsi que Grégoire le rappelait dans ses mémoires 2, Spinelli fera sien le “mémorandum pour une action communautaire dans le domaine de la culture”, sans y apporter la moindre modification tout en le soumettant au collège qui l'adoptera “tel quel” à l'occasion de l'adoption de la communication en matière d'éducation.



5. Robert Grégoire notait dans son ouvrage: “A l'orée des années 70 et avant le premier choc pétrolier, l'expansion est l'unique fierté de la Commission et son ambition unique est de l'amplifier. L'économie (pour ne pas dire ‘l'économisme') fait peser une chape de plomb. La culture est méprisée à un point impossible de se représenter de nos jours et qui est marqué par l'excès non moins néfaste du 'tout culturel'. A l'époque du mépris, je ne peux pas déclarer bille en tête que la culture compte aussi, qu'elle n'est pas une entité négligeable. Je dois prendre d'infinies précautions pour que le mémorandum ne soit pas d'emblée considéré comme nul et non avenu ” 3.



6. Les précautions dont faisait état Grégoire eurent pour effet à faire adopter le mémorandum par la Commission. Toutefois, cette dernière persévérait à ignorer pendant de longues années le document politique qu'elle avait pourtant fait sien dans les faits.



La longue marche

7. Pour que les choses commencent réellement à bouger, il fallut, à travers une longue marche qui ne dura pas moins de dix ans, convaincre les différentes directions générales de la Commission compétentes suivant les matières à appuyer (ou au moins à ne pas boycotter) le travail de la minuscule unité de Robert Grégoire, rattachée à la direction générale Recherche et développement . Afin de mieux coller au contenu du mémorandum, le domaine de l'unité de Grégoire se nomma “Problèmes du secteur culturel”. Le même Robert Grégoire donna du secteur culturel la définition suivante: “l'ensemble des personnes et des entreprises qui se consacrent à la production et à la distribution des biens culturels et des prestations culturelles ” 4. L'unité de Grégoire s'employa donc, inlassablement, à démontrer qu'un nombre considérable d'activités culturelles et d'acteurs culturels pouvaient rentrer dans le champ d'application du traité, sans pirouettes ni équilibrismes intellectuels. C'est dans ce contexte que Grégoire forgea l'expression “travailleur culturel” entrée définitivement depuis lors dans le jargon communautaire. Comme le même Grégoire l'indiquait à propos des travailleurs culturels, “des rares exceptions dissimulent la réalité quotidienne de la quasi totalité des professionnels”. Et de préciser: “en rangeant les créateurs (écrivains, compositeurs, plasticiens, cinéastes, téléastes...) et les interprètes (acteurs, chanteurs, musiciens, danseurs...) sous l'appellation générique de travailleurs culturels...on souligne une importante unicité sociologique: l'unicité de la condition sociale de tous les travailleurs. Dès lors qu'elle reconnaît cette unicité, la Communauté ne peut plus pratiquer une discrimination. Il lui appartient d'accorder à tous une égale attention”.



Le rôle du Parlement européen

8. Ces jalons posés, le chemin à parcourir avant d'aboutir au premier programme communautaire en matière culturelle devait être encore très long. Mais ce ne fut pas une période vide. Petit à petit et de plus en plus des liens s'établirent entre l'unité de la Commission compétente pour les problèmes du secteur culturel et le Parlement européen et, notamment avec sa propre commission “culture, éducation, jeunesse, média et sport”.

Le Parlement ne détenait pas encore à l'époque des pouvoirs d'envergure, sauf en matière budgétaire où, pour les “dépenses non obligatoires”, il lui incombait la décision finale par rapport au Conseil, l'autre institution qui, avec le Parlement, constitue “l'autorité budgétaire”. Aujourd'hui les pouvoirs de ces deux institutions en matière budgétaire sont largement équilibrés mais, dans les années 70 et 80, la véritable chasse gardée pour le Parlement étaient les dépenses dites non obligatoires (car relatives à des actions non prévues expressément par le traité et de ce fait “non obligatoires”). C'est grâce à ce levier, manœuvré généreusement par le Parlement, que purent démarrer les premiers projets en matière d'éducation. Et ce fut de la même manière que l'action dans le domaine culturel cessa d'être virtuelle et devint une réalité.



Les premières réalisations

9. Ce fut ainsi qu'en 1978, l'Orchestre des jeunes de la Communauté européenne vit le jour, première réalisation concrète de l'action culturelle au niveau communautaire. Au fur et à mesure que la Commission pût compter sur le soutien croissant du Parlement, le nombre des projets augmenta en conséquence (par exemple l'aide à la traduction littéraire, la subvention à la conservation du Parthénon). Mais on était toujours dans le contexte de la réalisation de projets que la Commission à l'époque avait le droit de réaliser dans le cadre de ses prérogatives institutionnelles, sans les soumettre à l'approbation préalable du Conseil; techniquement il s'agissait d'actions dites “ponctuelles”, même si la notion de “ponctualité” s'avérait dans la pratique plutôt souple. La première fois qu'un article consacré à l'action culturelle figurait au budget communautaire, c'était en1976 (pour la conservation du patrimoine architectural). Depuis cette présence devint au fur et à mesure, qualitativement et quantitativement, plus importante. Mais l'action culturelle émanait encore du bricolage institutionnel et se déroulait dans la semi clandestinité, confiée à l'abnégation et à l'intelligence de Robert Grégoire ainsi qu'à la clairvoyance du Parlement européen qui, à chaque exercice budgétaire lui affectait des crédits modestes et pourtant de plus en plus significatifs. Pour sortir de l'ombre et en quelque sorte “s'officialiser”, l'action culturelle avait besoin du dernier interlocuteur sur le plan institutionnel: le Conseil.



Le Conseil des Ministres

10. En effet, le Conseil avait tout simplement ignoré le mémorandum que la Commission lui avait adressé en 1972. Il en avait fait de même avec une communication plus ample et circonstanciée dont il avait été saisi en 1977. Plusieurs Etats membres estimaient en effet que le domaine de la culture n'avait pas de justification pour être traité au niveau communautaire. Il y avait deux raisons à cela: d'une part des raisons de politique institutionnelle car le traité étant de nature économique, l'on estimait que son champ d'application ne devait pas être élargi artificiellement et fournir ainsi un précédent dangereux permettant de justifier d'autres “entorses” successives. D'autre part, de fortes objections se manifestaient liées à la crainte que, par le biais d'une action communautaire en matière culturelle, les prérogatives exclusives que certaines constitutions confient aux structures régionales d'un état membre (c'est le cas des Länder allemands) pourraient être court-circuitées. Il y avait aussi une deuxième objection d'ordre “philosophique”, présente dans ces pays (comme le Royaume-Uni et dans une moindre mesure les Pays-Bas) où toute ou presque toute subvention publique aux activités culturelles était inexistante: ces pays estimaient (et estiment toujours) qu'il incombait au secteur privé (par le biais du mécénat, du “sponsoring” et des donations) d'intervenir, l'état devant maintenir une position rigoureusement neutre en la matière. Dans cette situation figée, compter sur une implication du Conseil ne semblait pas réaliste.



11. Pour l'Education, il fallut attendre 14 ans depuis l'entrée en vigueur du traité de Rome pour que se tienne le 16 novembre 1971 une réunion des ministres au niveau communautaire (dans un cadre encore intergouvernemental, suivant la formule “ministres représentants des Etats membres réunis au sein du Conseil”); malgré la modestie et la prudence de cette première réunion, elle déclencha un processus irréversible. La première réunion formelle du Conseil “Culture” n'eut lieu que le 24 juin 1984. Durant 27 ans, la Communauté de l'époque n'avait pas pu ni voulu accorder une place officielle à l'action culturelle. Mais cette première réunion officielle devait constituer le premier pas vers des instruments législatifs spécifiquement consacrés à la culture.



Les premiers contacts entre ministres et le rôle de Melina Mercouri et de Jack Lang

12. Encore une fois, le facteur déterminant de cet événement fut le facteur humain. D'abord à l'initiative du ministre italien de l'époque Vincenzo Scotti, une “conférence” des ministres de la culture des pays de la Communauté se déroula à Naples les 17 et 18 septembre 1982. Malgré le fait que tous les pays n'étaient pas représentés, cette première rencontre permit à certains ministres de se connaître (ou de mieux se connaître) et s'accorder sur une stratégie de longue haleine. Depuis 1981, Jack Lang en France et Melina Mercouri en Grèce étaient ministres de la culture; liés par une longue et solide amitié, ils décidèrent d'essayer de faire sortir l'action culturelle de la semi clandestinité dans laquelle elle était confinée. Ce fut ainsi qu'en 1983, au cours du semestre de la présidence Grecque (sa première présidence depuis son adhésion à la Communauté), Melina Mercouri convoquait une réunion informelle du Conseil des ministres de la culture. Les travaux se déroulèrent à Athènes le 28 novembre 1983. Evidemment un Conseil informel, de par sa nature, n'est pas habilité à prendre des décisions; toute réunion de ce genre se terminant par des conclusions (voire par un communiqué) n'engageant que la présidence. Néanmoins, à cette occasion, tous les Etats membres étaient représentés (ainsi que la Commission bien entendu) et surtout l'idée lancée par la ministre grecque d'instaurer une manifestation appelée Ville européenne de la culture reçut un accueil largement favorable par les participants aux travaux (le succès connu par cette manifestation a continué à augmenter au fil des années et actuellement le Parlement et le Conseil se préparent à en perfectionner certains aspects).

Le moment était donc propice pour aller de l'avant au cours du semestre de présidence de la France qui allait se dérouler dans la première moitié de 1984



Le début des réunions officielles

13. La première réunion officielle des ministres de la culture de la Communauté eut lieu sous la Présidence de Jack Lang le 24 juin 1984. Ce ne fut pas une réunion du Conseil à proprement parler mais une réunion de nature mixte (communautaire et intergouvernementale) du “Conseil et des représentants des Etats membres” qui indiquait bien que pour certains pays la “communautarisation” de l'action culturelle était loin d'être acquise.

C'est d'ailleurs ainsi que s'expliquait la nature purement intergouvernementale des trois résolutions adoptées ce jour-là (concernant la lutte contre la piraterie audiovisuelle, la diffusion rationnelle des œuvres cinématographiques sur l'ensemble des médias audiovisuels et les mesures pour assurer une place adéquate aux programmes audiovisuels d'origine européenne; des sujets encore aujourd'hui d'une grande actualité). En tout état de cause, les résolutions, de même que les conclusions, qu'elles fussent intergouvernementales, mixtes ou purement communautaires, constituaient une expression de la volonté politique des Etats membres sans être juridiquement contraignantes. Comme pour le secteur de l'éducation, cela constituait un début important sur le chemin de la pleine reconnaissance de l'action communautaire dans le domaine culturel.



Un climat apparemment propice

14. Depuis ce 24 juin 1984, le Conseil “Culture” s'est toujours réuni chaque semestre, suivant la rotation des présidences. Ces premières années 80 semblaient d'ailleurs propices à des initiatives innovantes dans le secteur culturel. Déjà dans leur “Déclaration solennelle sur l'Union européenne”, signée à Stuttgart le 19 juin 1983, les dix chefs d'état et de gouvernement de l'époque, dans le chapitre dédié à la coopération culturelle, convenaient de “promouvoir, encourager ou faciliter”, entre autres:

“• l'examen de l'opportunité d'engager une action commune en vue de protéger, mettre en valeur et sauvegarder le patrimoine culturel;

• l'examen de la possibilité de promouvoir des activités communes dans les domaines de la diffusion culturelle, en particulier les moyens audiovisuels;

• l'accroissement des contacts entre écrivains et créateurs des Etats membres et la diffusion accrue de leurs œuvres, tant au sein de la Communauté qu'à l'extérieur;

• une coordination plus étroite de l'activité culturelle dans les pays tiers dans le cadre de la coopération politique”.

Quant à lui, le Parlement européen (qui depuis 1979 est élu au suffrage universel par la population des Etats membres) adoptait le 14 février 1984 un projet de “Traité établissant l'Union européenne”, dont l'inspirateur avait été (encore une fois) Altiero Spinelli, qui en sa qualité de député européen, avait fondé le groupe “transversal” du Crocodile auquel avait adhéré un nombre important de parlementaires appartenant aux différents groupes politiques démocratiques, soucieux d'essayer de mettre la construction européenne dans une perspective fédéraliste en limitant l'emprise grandissante de la diplomatie et des chancelleries. Ce texte constitutionnel, bref, simple et compréhensible (comme devrait l'être ce genre de document) avait reçu le soutien public (quoique nuancé) du Président Mitterrand lors de son allocution devant le Parlement en mai 1984. Cet appui avait beaucoup réduit la frilosité dont avait fait preuve la majorité des élus socialistes français à l'égard du projet de traité. Ce dernier contenait des dispositions en matière d'éducation et de culture, dans le contexte du chapitre consacré à la “politique de la société”. Cela constituait un signal supplémentaire d'un changement dans l'appréciation à l'égard de l'action culturelle.



L'Europe des citoyens

15. En effet, ces différentes tentatives (la déclaration de Stuttgart et le projet de traité) donnèrent lieu à des discussions au plus haut niveau. L'idée que tout approfondissement de l'intégration communautaire ne pourrait négliger encore pendant longtemps l'éducation et la culture était en train de se frayer un chemin. Le projet de traité du Parlement européen figurait à l'ordre du jour du Conseil européen qui se déroulait sous la présidence de François Mitterrand les 25 et 26 juin 1984 à Fontainebleau. Mais les priorités des chefs d'état et de gouvernement étaient de toute autre nature: il fallait en terminer avec la question épineuse de la contribution britannique au budget communautaire qui avait ralenti, voire paralysé, les travaux de la Communauté pendant les dernières années. Ainsi ce problème monopolisa les travaux du Conseil européen; il fut résolu, mais pour le “projet Spinelli” on ne trouva qu'une réponse routinière et de profil bas.

Le Conseil européen, dans ses conclusions n'abordait le projet qu'indirectement, dans le contexte de sa section dédiée à la relance de la Communauté; et cela à travers la création de deux “comités ad hoc”, le premier ayant pour tâche de formuler des suggestions visant à améliorer le fonctionnement de la coopération européenne dans le secteur communautaire ainsi que dans celui de la coopération politique; quant au second comité, il fut chargé de préparer et coordonner les actions visant à promouvoir et renforcer l'image de la Communauté auprès des ses citoyens et dans le monde. Ce dernier comité s'appellera dès lors Comité pour l'Europe des citoyens ou “Comité Adonnino” du nom de son président.



16. Le rapport du Comité pour l'Europe des citoyens fut adopté par le Conseil européen de Milan les 28 et 29 juin 1985. Il accordait une large place à l'éducation et à la culture. Bien que ne s'agissant pas d'un acte contraignant, son adoption au plus haut niveau politique était destinée à favoriser la sensibilisation de l'opinion publique en général et à renforcer celle des milieux les plus intéressés par rapport à l'importance de ces domaines pour la construction européenne. En adoptant le rapport Adonnino, le Conseil européen de Milan portait sur le devant de la scène la question fondamentale de la nécessaire implication des citoyens dans la construction communautaire et le rôle que peuvent jouer à cet égard non seulement la coopération en matière d'éducation mais aussi le secteur culturel.

Certes en ce qui concernait le secteur culturel, le rapport Adonnino ne proposait pas des avancées spectaculaires; le chapitre Culture et communication se concentrait sur le domaine de l'audiovisuel et préconisait que le Conseil et les ministres de la culture terminent rapidement leur discussions sur les meilleurs moyens “d'encourager, au niveau de la Communauté, la co-production européenne dans le domaine de l'audiovisuel afin de promouvoir une industrie authentique européenne et véritablement compétitive...”. Le rapport indiquait que l'instauration d'un “système d'avances sur recettes” pour des co-productions des Etats membres “constitue un moyen pour parvenir à cet objectif”. Le rapport faisait également état de l'importance potentielle qu'une “chaîne de télévision réellement européenne revêt pour la perception européenne et de son développement...”. Enfin le rapport évoquait la création d'une Académie des sciences, de la technologie et des arts, l'organisation d'un “Euro loto” visant le financement des actions culturelles et l'extension aux jeunes de tous les Etats membres des “conditions particulières ou prix réduits pour les musées et les manifestations culturelles” en vigueur dans les différents pays. Par ailleurs le rapport constatait “avec satisfaction que les réunions du Conseil et des ministres de la culture de la Communauté se poursuivent dorénavant de façon régulière et qu'on a fait des progrès dans ce domaine, notamment par la désignation chaque année d'une ville européenne de la culture, Athènes ayant été choisie à ce titre pour la première fois en 1985”.



17. Au delà des propositions irréalistes qu'il contenait (l'Académie et Euro loto), le rapport Adonnino indiquait clairement en premier lieu que des avancées étaient possibles, voire nécessaires, dans le domaine de l'audiovisuel pour lequel des bases juridiques sûres existaient déjà dans le traité. Par ailleurs, le rapport encourageait le Conseil et les ministres de la Culture à continuer leur travail, modeste certes, mais qui portait déjà ses fruits.

En ce qui concernait l'audiovisuel, la Commission Delors en place depuis 1985 l'avait inclus parmi les secteurs dans lesquels elle allait exercer ses efforts en vue de parvenir à l'achèvement du marché unique. Ceci avait été mis à mal par le manque de volonté des Etats membres à s'engager résolument et sans arrière-pensées sur la voie tracée par le traité et sur la base de plus de cent propositions législatives de la Commission restées jusqu'alors lettre morte. Mais “l'ère Delors” avait commencé et les choses allaient enfin bouger. Ce fut ainsi que le Conseil, le 3 octobre 1988, adoptait la Directive dite “Télévision sans frontières”.

Deux ans plus tard, le 21 décembre 1990, le Conseil adoptait la première Décision “MEDIA” concernant “la mise en œuvre d'un programme d'action pour encourager le développement de l'industrie audiovisuelle européenne (1991-1995).



L'audiovisuel prend son envol tandis que l'action culturelle sort de l'ombre

18. À part le secteur spécifique de l'audiovisuel, qui se dégagea rapidement du secteur culturel proprement dit, puisque les bases juridiques sur lesquelles reposaient les propositions de la Commission relevaient de l'industrie (et pour “Media” également de la formation professionnelle), l'action culturelle commençait à sortir de l'ombre. Comme on a déjà eu l'occasion de l'observer, depuis juin 1984, chaque semestre se tenait une réunion du Conseil et des ministres de la culture. Un nombre considérable de résolutions et de conclusions fut adopté lors de ces réunions. Même si ces actes n'avaient aucune portée juridique, ils indiquaient un engagement politique des Etats membres. Ainsi la résolution du 13 juin 1985 indiquait les modalités en vertu desquelles serait organisée la manifestation de la “Ville européenne de la culture”; s'agissant d'une résolution de type “intergouvernemental”, toute référence à la Commission en était absente.

Mais dans d'autres textes, de nature “mixte” (à savoir du “Conseil et des ministres réunis au sein du Conseil”), la Commission était en général invitée à tenir au courant ou à faire rapport au Conseil sur les initiatives qu'elle aurait entreprise en différents secteurs “sur la base de la présente résolution”.



Naissance du Comité des affaires culturelles et reconnaissance du rôle de la Commission

19. La préparation des délibérations du Conseil et des ministres, d'abord confiée à un “Groupe ad hoc” du Conseil fut attribuée, en vertu d'une résolution mixte “sur l'organisation future des travaux” du Conseil et des ministres réunis au sein du Conseil du 27 mai 1988, à un “comité des affaires culturelles composé des représentants des Etats membres et de la Commission”. Le modèle duquel le Conseil s'inspira était celui du secteur de l'éducation qui, en vertu de la première résolution mixte (comportant par ailleurs un “programme d'action”), institua le comité de l'éducation en 1976. Pour le secteur culturel, il s'agissait d'un autre pas vers une reconnaissance formelle de son existence, d'autant plus que la résolution du 27 mai 1988 stipulait que: “Sans préjudice des dispositions de l'art. 155 du traité CEE, la Commission met en œuvre, en étroite collaboration avec le comité des affaires culturelles, les actions décidées par le Conseil ou le Conseil et les ministres réunis au sein du Conseil qui sont à mettre en œuvre au niveau communautaire”.

La Commission pouvait être invitée à assumer des fonctions de coordination, en accord avec le comité des affaires culturelles, lors de la mise en œuvre des décisions des ministres réunis au sein du Conseil. La Commission pouvait également être invitée à assurer des fonctions de coordination pour des projets auxquels ne participaient pas tous les Etats membres de la Communauté et/ou pour des projets auxquels participaient des pays européens qui n'étaient pas membres de la Communauté.

Ainsi la Commission qui avait depuis toujours joué un rôle fondamental dans l'initiative et la mise en œuvre des projets culturels, mais qui avait dû le faire de manière fort discrète, voire semi clandestine, voyait reconnues ses prérogatives et sa présence comme étant incontournable.



En vue de Maastricht: des lignes directrices pour l'action communautaire

20. Avant l'entrée en vigueur du traité de Maastricht qui comportait un article consacré à la culture, la Commission avait continué la promotion d'activités culturelles en s'appuyant, comme par le passé, sur le soutien que lui fournit le Parlement. Certains Etats membres étaient inquiets de ce que la Commission, s'appuyant sur le futur traité pourrait proposer. C'est ainsi qu'à l'initiative de la présidence britannique, le 12 novembre 1992, les “ministres de la culture réunis au sein du Conseil” adoptaient des conclusions sur les lignes directrices d'une action culturelle de la Communauté. Ces conclusions qui constituaient une réponse à une communication de la Commission intitulée “Nouvelles perspectives pour l'action de la Communauté dans le domaine culturel” indiquaient les limites dans lesquels l'action culturelle pourrait avoir lieu. Il faudrait, d'après les ministres, “une approche cohérente qui mette l'accent sur une gamme d'actions à l'échelle communautaire afin de promouvoir les activités culturelles ayant une dimension européenne dans tous les états membres et d'encourager la coopération entre eux”. La Communauté devait développer les activités existantes, “y compris des actions dans différents secteurs culturels: l'audiovisuel, le livre et la lecture, le patrimoine culturel tant mobilier qu'immobilier et d'autres formes d'expression culturelle. Les programmes futurs pourraient notamment comprendre l'encouragement des activités de réseaux culturels européens d'artistes et d'institutions culturelles tels que les musées, les archives, les bibliothèques et les monuments; l'encouragement du mécénat culturel des entreprises; les échanges et la formation du personnel dans le domaine culturel pour soutenir les activités des Etats membres; l'amélioration de la connaissance des différentes cultures, la sauvegarde de la diversité linguistique de la Communauté ainsi que la promotion du respect des valeurs partagées.”

Mais toutes ces initiatives éventuelles devaient s'inscrire à l'intérieur de limites budgétaires sévères. Les Conclusions à ce propos étaient fortement prescriptives: “Il est nécessaire de tirer le meilleur parti possible des retombées des actions culturelles au niveau européen dans les limites de perspectives de financement réalistes. L'action de la Communauté dans ce domaine ainsi que dans d'autres domaines doit respecter les contraintes budgétaires et faire l'objet d'une évaluation régulière et rigoureuse. Les actions ne devraient remplacer ni concurrencer les activités organisées aux niveaux national et régional, mais apporter une valeur ajoutée et créer des ponts entre elles”. Voila que tout est dit: l'action culturelle communautaire, telle que rendue possible par le nouveau traité sur l'Union européenne, ne pourra, au moins à ses débuts, que présenter un profil bien modeste.



Exportation et restitution de biens culturels

21. Mais avant que le traité de Maastricht n'entrât en vigueur, outre les textes législatifs adoptés en matière d'audiovisuel que nous avons évoqués auparavant, il avait été également possible au Conseil d'adopter, le 9 décembre 1992, un règlement concernant l'exportation de biens culturels. Dans ce cas, comme dans le domaine de l'audiovisuel, il n'avait pas été nécessaire de se référer à des normes ad hoc en matière culturelle: le règlement, tout en traitant de “biens culturels”, abordait la problématique de leur exportation sous l'angle de l'achèvement du marché intérieur et de la nécessité d'avoir des règles concernant les échanges avec les pays tiers pour assurer la protection de ces biens. Dès lors la base juridique choisie était l'article 113 du traité: “La politique commerciale commune est fondée sur des principes uniformes, notamment en ce qui concerne les modifications tarifaires, la conclusion d'accords tarifaires et commerciaux, l'uniformisation des mesures de libération, la politique d'exportation, ainsi que les mesures de défense commerciale, dont celles à prendre en cas de dumping et de subventions...”. Le règlement énumérait en annexe les catégories de biens culturels qui rentraient dans son champ d'application. Le texte était axé sur deux volets principaux, les règles relatives à la licence d'exportation des biens et la coopération administrative entre les Etats membres.

Quant à la directive relative à la restitution de biens culturels ayant quitté illicitement le territoire d'un Etat membre, qui constituait le “pendant” du règlement, elle se fondait sur l'article 100A du traité consacré au rapprochement des législations ayant pour objet l'établissement et le fonctionnement du marché intérieur. La directive, adoptée le 15 mars 1993, mettait en place un système “permettant aux Etats membres d'obtenir la restitution, sur leur territoire, des biens culturels classés ‘trésors nationaux' au sens de l'art. 36 et qui ont quitté leur territoire” en violation des mesures nationales prises pour assurer la protection des biens nationaux dont il était fait mention à l'article en question.



Le premier programme culturel: Kaléidoscope

22. Après que le deuxième programme MEDIA (“d'encouragement au développement et à la distribution des œuvres audiovisuelles européennes”) dans ses volets distincts (“développement et distribution” et “formation”) ait été adopté au cours du second semestre 1995 (sur la base respectivement des articles 130 (industrie) et 127 (formation professionnelle), le Conseil et le Parlement européen parvenaient à adopter, le 29 mars 1996, une décision “établissant un programme de soutien aux activités artistiques et culturelles de dimension européenne ( Kaléidoscope )”. La décision était fondée sur le nouvel article 128 (Culture) du traité de Maastricht: pour la première fois des dispositions juridiques spécifiques en matière culturelle étaient à la base d'un texte législatif communautaire. Et cela 39 ans après l'entrée en vigueur du traité de Rome.



Une attitude restrictive

23. En vertu de l'article 128 du traité de Maastricht, l'adoption de “Kaléidoscope” eut lieu selon la procédure de codécision qui attribue désormais au Parlement européen dans un nombre important de matières, le rôle de partenaire législatif du Conseil. Le Parlement essaya, sans beaucoup de succès, d'amender dans un sens plus généreux la décision, notamment en ce qui concerne sa durée et son financement. En effet, pour une décision dont le champ d'application était ambitieux, la durée de trois ans ainsi que l'enveloppe budgétaire de 26,5 millions d'écus imposées par le Conseil ne pouvait que susciter un sentiment de déception profonde auprès de la Commission, du Parlement et des milieux culturels les plus concernés; c'était comme si le Conseil, tout en acceptant que l'action culturelle se traduise pour la première fois en réalité par le biais d'un texte législatif, avait prédisposé les conditions pour que cette première initiative échoue (en se réservant ainsi le droit de reprocher cet insuccès à la Commission et par là d'assumer une position intransigeante à l'occasion d'une éventuelle nouvelle proposition en matière culturelle).

Il est à noter que, du fait de l'adoption retardée du programme “Culture 2000” (qui reprenait notamment beaucoup le contenu de Kaléidoscope ), le premier programme communautaire en matière de culture était prolongé d'une année (1999): son enveloppe financière était dès lors portée à 36,7 millions d'écus (pour quatre ans dans une Communauté désormais à 15).

Cette prolongation s'avéra nécessaire pour éviter des solutions de continuité dans le financement des projets sélectionnés. Pendant les quatre années de vie du programme 5 18 projets purent être financés 5.



24. Si le premier programme en matière culturelle avait des dimensions aussi modestes, cela était dû à l'attitude sceptique, voire négative de certains Etats membres à l'égard d'une action culturelle communautaire, attitude qui n'avait pas beaucoup changé au fil des années et qui les avait poussés à accepter l'inclusion dans le traité de Maastricht de l'art. 128 à la condition que ce dernier ait la portée la plus réduite possible: ils se prévalèrent de cette arme de destruction de masse “sui generis” qu'est la règle de l'unanimité. L'unanimité comportait en fait un droit de veto: on ne pouvait atteindre que le résultat fixé par le pays le plus sceptique. C'est ainsi que la durée de cinq ans du programme, proposée par la Commission, était ramenée à trois ans après d'interminables et épuisantes discussions et que l'enveloppe budgétaire était ainsi réduite de façon draconienne. Comme indiqué ci-dessus, le prolongement d'une année fut imposé par le retard dans l'adoption de “Culture 2000”; ce n'était pas la manifestation d'un changement d'attitude du Conseil.

Cette situation n'avait rien d'étonnant vu que le point de départ d'un Etat membre avait été de s'opposer purement et simplement au programme; si les autorités de ce pays avaient décidé de maintenir leur inflexibilité jusqu'au bout, Kaléidoscope n'aurait jamais vu le jour.



Le deuxième programme: Ariane

25. Ce fut encore pire avec le deuxième programme proposé par la Commission: Ariane .

Encore une fois la réticence, voire l'hostilité, de deux pays réduisaient la proposition initiale à des dimensions symboliques, sinon caricaturales. Le “compromis” trouvé après les désormais habituelles longues et âpres discussions au sein du Conseil et dans le dialogue/confrontation que ce dernier entretenait avec le Parlement, consistait dans l'adoption d'une décision étalée sur une période de 2 ans, après une période “expérimentale” d'un an. Il est à noter qu' Ariane fut adoptée le 6 octobre 1997, alors que son article premier stipule “la présente décision établit, pour la période du 1 er janvier 1997 au 31 décembre 1998, le programme d'action Ariane.

L'enveloppe financière prévue était de 7 millions d'écus. Mais la période “expérimentale” qui s'était déroulée en 1996 avait bénéficié d'un financement de 4, 3 millions d'écus. Au total donc le programme fut doté de 11, 3 millions d'écus. Malgré ces restrictions humiliantes, Ariane put financer 880 projets au cours de ces trois ans. Cela en dit long quant à l'importance de cette décision qui établissait “un programme de soutien, comprenant la traduction, dans le domaine du livre et de la lecture”. Le programme avait pour but d'encourager la coopération entre les Etats membres dans le domaine du livre et de la lecture et d'accroître la connaissance et la diffusion de la création littéraire et de l'histoire des peuples européen s 6.



Le troisième programme: Raphaël

26. C'était toujours en octobre1997 (le 13) que le Conseil et le Parlement européen adoptèrent le troisième programme communautaire en matière culturelle: Raphaël . Par rapport aux deux autres programmes, Raphaël n'obtint guère un sort plus favorable du point de vue de l'enveloppe financière (30 millions d'écus). Mais le programme, après les âpres négociations habituelles, était censé durer une période de quatre ans (1997-2000), ce qui représentait une amélioration, même si modeste fut-elle, en comparaison avec “Kaléidoscope” et Ariane. En 2000, il fut remplacé par le programme “Culture 2000”. De fait la durée effective de Raphaël s'étala de 1997 à 1999. Au cours de cette période, 222 projets et 18 “laboratoires européens du patrimoine” avaient pu être financés. Ces derniers concernaient des interventions techniquement complexes sur des monuments ou des sites d'intérêt exceptionnel.

Le programme avait pour objectif général d'encourager la coopération en faveur de la protection, la conservation et la valorisation du patrimoine culturel européen ainsi que la sensibilisation des citoyens au patrimoine culturel et leur plus grande accessibilité à ce patrimoine 7.



Les dispositions du traité en matière de culture

27. Malgré les limitations en matière de durée et de financement, les premiers trois programmes culturels européens eurent le mérite d'annoncer que désormais l'action culturelle pouvait se fonder sur la base juridique que lui fournissait le traité: la longue période du “bricolage” institutionnel étant révolue, les programmes fournissaient des outils modestes certes, mais qui pouvaient être considérés comme un premier pas sur le chemin d'une coopération culturelle significative. En effet, en vertu de l'article 128 (puis 151) du traité, la coopération culturelle était devenue un objectif reconnu de l'action communautaire, à laquelle il fournissait une base juridique spécifique.

L'article 151 définit trois objectifs majeurs à l'action communautaire en matière culturelle:

• contribuer à l'épanouissement des cultures des Etats membres dans le respect de leur diversité nationale et régionale, tout en mettant en évidence l'héritage commun;

• encourager la création culturelle contemporaine;

• favoriser la coopération entre les Etats membres et avec les pays tiers et les organisations internationales.

Respectueuse de la diversité culturelle et du principe de subsidiarité, l'action communautaire reposait sur la coopération. Elle complétait et appuyait l'action des Etats membres afin:

• d'améliorer la connaissance et la diffusion de la culture et de l'histoire des peuples européens;

• de conserver et sauvegarder le patrimoine culturel d'importance européenne;

• de soutenir les échanges culturels et la création artistique et littéraire.

A ces objectifs et à ces domaines d'action s'ajoutait une disposition particulièrement importante: la Communauté était désormais censée devoir prendre en compte les aspects culturels dans la définition et la mise en œuvre de l'ensemble de ses politiques.



28. Le texte de l'article 151 était parfait car il mentionnait clairement les deux éléments apparemment antinomiques dont doit toujours tenir compte l'action culturelle communautaire: l'héritage commun et les diversités des cultures des Etats membres. C'est un passage obligé qui prend en considération la portée et l'importance de l'histoire des peuples européens.

Il découlait des dispositions de l'article en question que l'action communautaire est subsidiaire (comme elle l'est d'ailleurs dans le domaine de l'éducation) par rapport à celle des Etats membres. Cette position “subordonnée” n'a pas empêché l'adoption de programmes communautaires particulièrement significatifs dans le secteur de l'éducation. Or il faut reconnaître que la situation dans le secteur culturel est plus compliquée que celle dans l'éducation. Des progrès en ce dernier domaine sont unanimement souhaités par les Etats membres tandis que la culture suscite des réserves fortes de la part de certaines administrations.



La “rationalisation” des programmes communautaires

29. Au cours du premier semestre de 1997, la présidence néerlandaise de l'époque prit l'initiative d'une décision fondée sur l'article 152 (actuellement article 208) “concernant l'avenir de l'action culturelle en Europe” (JO n. C 305 du 07.10.1997). Pour mémoire, l'article en question stipulait que “le Conseil peut demander à la Commission de procéder à toutes études qu'il juge opportunes pour la réalisation des objectifs communs et de lui soumettre toutes propositions appropriées”. Le recours à cet article, dans l'histoire de la Communauté et de l'Union est rarissime; il requiert en effet la majorité simple pour l'adoption des décisions qui en découlent. Même si les dispositions de cet article ne concernent que des demandes à la Commission de procéder à des études (la Commission, dans l'exercice de ses prérogatives demeurant libre de ne donner aucune suite à ces demandes), la grande prudence, qui depuis toujours caractérise le Conseil, a milité et milite en faveur d'un usage le plus possible limité de l'article susvisé. En effet le recours à un instrument (même si purement incitatif) qui dispose de la souplesse offerte par la règle de la majorité simple, est de nature à préoccuper de nombreux Etats membres qui redoutent que la Commission soit saisie de demandes portant sur des dossiers “sensibles” pour les pays en question.

En 1997, certaines délégations considéraient avec beaucoup de soupçons et de réticences la décision proposée par la présidence néerlandaise, parce qu'elles craignaient que cette voie une fois ouverte, la Commission puisse être saisie d'autres demandes politiquement plus délicates (comme par exemple la suppression du secret bancaire). Mais la présidence estima que les avantages escomptés étaient supérieurs aux risques “politiques” ressentis par quelques pays et ne voulut pas se priver d'un outil qui lui permettait, une fois repéré le nombre de délégations nécessaires à constituer une majorité simple, de faire passer le message qu'elle avait conçu avec uniquement quelques modifications mineures (au lieu de la défiguration habituelle qui caractérise le processus décisionnel quand il doit se dérouler selon la procédure de l'unanimité).



30. Le dispositif de la décision de1997 était très clair et les six considérants qui le précédaient annonçaient la couleur:

“Considérant qu'un certain nombre d'activités culturelles de la Communauté européenne sont reprises dans différents programmes culturels (partiels);

Constatant que la Communauté apporte en outre à divers titres un soutien aux activités culturelles, en dehors des dits programmes;

Estimant que, pour coordonner le soutien au secteur culturel, il est essentiel d'avoir une vision globale et actuelle de l'action culturelle menée dans la Communauté;

Tenant compte de l'expérience acquise par la Communauté européenne en matière de soutien au secteur culturel;

Considérant que les programmes culturels actuels se termineront dans les prochaines années;

Considérant que puisqu'il est essentiel que les avis des Etats membres soient pris en compte dans la proposition de la Commission, celle-ci pourrait, selon les modalités qui lui semblent indiquées, demander aux Etats membres de lui faire part de leur point de vue sur la coopération culturelle en Europe”.

En d'autres termes, le contenu des considérants mettait l'accent essentiellement sur le saupoudrage et la fragmentation que comportaient les trois programmes sectoriels en vigueur ainsi que sur l'activité de la Commission en matière culturelle, en dehors des trois programmes et sur la nécessité que la Commission tînt compte des avis des Etats membres en matière de coopération culturelle et donc à plus forte raison lors de l'établissement de propositions. (Evidemment, si saupoudrage il y avait, la principale raison en était la modeste dotation financière).



Vers un programme global: le lancement de Culture 2000

31. Quant au dispositif, la décision demandait “à la Commission d'étudier les possibilités d'élaborer une approche directrice, globale et transparente pour l'action culturelle au sein de la Communauté aux fins de l'application de l'article 128 du traité, et de lui faire parvenir, pour le 1 er mai 1998 au plus tard, des propositions concernant l'avenir de l'action culturelle en Europe, y compris, entre autre, l'établissement d'un instrument unique de programmation et de financement visant à la mise en œuvre de l'art 128...”.

C'était une invitation raisonnable, empreinte de bon sens. Cependant l'on ne peut pas oublier que la position des Pays-Bas avait été extrêmement restrictive, voire intraitable tout au long des discussions qui avaient abouti en fin de parcours à l'adoption des trois programmes sectoriels, bien amoindris en ce qui concerne aussi bien leur durée que leur dotation financière (cf. ci-dessus). Donc, face à des programmes “partiels” (selon l'expression utilisée dans la décision) et voués à une vie difficile à cause de leur modeste étendue temporelle et de leur financement presque symbolique, ceux qui avaient très largement contribué à caractériser dans ce sens les programmes, eurent jeu facile à rassembler les autres délégations autour d'une invitation qui demandait à la Commission de renoncer à des actions parcellisées et de miser sur “un instrument unique de programmation et de financement”. En effet, dans l'histoire de la Communauté, il arriva que des Etats membres se battent pour parvenir à des compromis au profil le plus bas possible afin d'être par la suite en mesure de pouvoir aisément critiquer la mise en œuvre de la décision qu'ils avaient pourtant largement imposée au Conseil. Les trois programmes sectoriels (ou “partiels”) ne pouvaient avoir qu'une existence pénible, leur durée et leur financement ayant été sensiblement réduits à l'initiative de quelques délégations qui jugeant maintenant insatisfaisante la situation qu'elles avaient pourtant puissamment contribué à créer, demandaient à la Commission de changer résolument de cap et de s'acheminer vers une “approche directrice, globale et transparente”.

Ce fut ainsi que la Commission, en accueillant la demande formulée dans la Décision de Conseil concernant l'avenir de l'action culturelle en Europe, présenta au Parlement et au Conseil, au début de juillet 1998, une proposition unique et globale “établissant le programme Culture 2000 ”. Elle le fit car d'un point de vue politique en général et d'un point de vue de la position de l'Institution dans le contexte communautaire, l'invitation du Conseil lui offrait l'occasion de présenter un programme global, structuré et cohérent et par là même la possibilité d'en finir avec les petits programmes sectoriels que la volonté de certains pays avait davantage réduit dans leur portée et leur rayonnement.

Le programme était ouvert à la participation des pays de l'Espace économique européen ainsi qu'à la participation de Chypre et des pays associés d'Europe centrale et orientale. Il permettait également une action concertée avec des organisations internationales comme l'UNESCO ou le Conseil de l'Europe. C'était pour la première fois un programme d'envergure, bien diffèrent de ceux qui l'avaient précédé.



L'évaluation externe des premiers trois programmes: pas si mal que ça

32. Mais, ce qui n'est pas très connu (ou ce que l'on préfère ignorer) est l'évaluation externe ex post des trois programmes sectoriels (menée en 2003). L'évaluation, commanditée par la DG de l'éducation et culture de la Commission européenne visait à fournir des descriptions, des analyses, des conclusions et des recommandations sur les trois programmes de la première génération. Or les résultats de l'évaluation externe étaient plutôt positifs. Ainsi en ce qui concernait la pertinence des anciens programmes par rapport aux objectifs généraux de la Commission et par rapport aux besoins et attentes des opérateurs culturels, l'évaluation concluait à la totale pertinence de ces programmes aux objectifs généraux (qualité culturelle et pertinence économique). C'était évidemment une information importante, compte tenu du dénigrement à peine larvé dont avaient fait l'objet de la part des autorités de certains pays les trois premiers programmes communautaires en matière culturelle.

En ce qui concernait la pertinence par rapport aux besoins et attentes des opérateurs culturels, l'évaluation parvint à un jugement plus nuancé. En effet, si les opérateurs ayant bénéficié d'une subvention considéraient logiquement que les programmes correspondaient bien à leurs besoins (soutien aux réseaux et aux partenariats), il n'était évidemment pas possible de généraliser cette affirmation pour l'ensemble des opérateurs culturels. A ce propos, l'évaluateur externe fit noter qu'il n'y avait eu, avant l'élaboration des programmes, aucune investigation systématique auprès du public cible au sujet de ses besoins et attentes.

Ce que certaines délégations plutôt sceptiques avaient fait valoir au cours du débat sur l'évaluation avait reflété un sentiment d'insatisfaction et de frustration dont avaient fait part, à l'égard des programmes en question, les opérateurs dont les projets n'avaient pu être retenus. Cette critique, reposait probablement sur des épisodes réels concernant certains opérateurs qui avaient manifesté leur déception auprès des services de la Commission et/ou en s'adressant aux autorités nationales de certains pays, suite à l'exclusion des subventions prévues par les programmes. Or, le fait que des sentiments de frustration aient pu être manifestés ne revint pas, en soi, à fournir la preuve d'un manque de pertinence des anciens programmes. Et cela, non seulement du fait que les éventuelles plaintes n'avaient été ni comptabilisées, ni inventoriées suivant les raisons invoquées par les plaignants (on ignore ainsi le nombre d'opérateurs qui auraient fait part de leurs griefs à l'encontre des trois programmes ainsi que les motifs circonstanciés de leur insatisfaction); mais aussi du fait que l'éventuel sentiment de déception présent auprès des candidats malheureux (quoique tout à fait compréhensible) ne saurait représenter un moyen idoine à l'évaluation d'un programme, comme ne pouvait l'être, par ailleurs, l'appréciation positive portée par les opérateurs dont les projets avaient été choisis. En d'autres termes, l'argument avancé du mécontentement suscité par les programmes n'avait qu'une portée polémique et visait à mettre la Commission au banc des accusés. Dommage que les mêmes qui s'abritaient derrière la colère d'opérateurs écartés des programmes n'aient pas reconnu que, du fait des ressources disponibles très limitées, le choix des projets présentés avaient dû se faire en tenant compte avant tout de cette limitation fondamentale et préalable à la fois qui a conduit à devoir écarter des projets valables, sacrifiés par manque de financements adéquats. Dommage aussi que ceux qui étaient prêts à critiquer la gestion des programmes de la part de la Commission aient été les mêmes que ceux qui firent en sorte que ces programmes soient adoptés assortis d'enveloppes budgétaires inadéquates et qu'ils aient oublié qu'en vertu des comités (de gestion pour la plupart des matières soumises à leur appréciation), les Etats membres jouent un rôle fondamental dans la mise en œuvre des programmes.



33. Quant au reste de l'évaluation, le jugement positif se confirmait sur la cohérence des anciens programmes considérée comme ayant été bien assurée. Il en allait de même pour ce qui avait trait à l'efficacité, même si l'évaluateur observait que les résultats obtenus avaient été proportionnels aux moyens engagés, à savoir qu'ils avaient été réels mais trop faibles par rapport aux attentes plus ambitieuses formulées dans les programmes. Encore une fois la question du financement revenait donc en première ligne. Par contre, l'évaluateur émettait une critique sur l'aspect administratif des programmes: leur efficacité aurait pu être meilleure si les questions administratives n'avaient pas requis autant de temps et d'efforts et si plus de moyens avaient été disponibles pour aider à la diffusion des résultats des projets.

Toutefois (et un des considérants du futur programme le rappelle) les trois premiers programmes “marquent une première étape positive dans la mise en œuvre de l'action communautaire en matière de culture”. Mais celle-ci devait “être rationalisée et renforcée en se basant sur les résultats de l'évaluation et en reprenant les acquis des programmes susmentionnés”. Justement l'évaluation de ces premiers programmes, souvent vertement critiqués, fera l'objet ci-après d'un petit détour dans notre histoire pour aboutir à un jugement autant que possible fondé au sujet de ces premières tentatives.

Enfin en ce qui concerne les résultats et impacts, l'évaluation mettait en exergue les réseaux, dont l'impact était cependant difficilement mesurable. D'autres impacts et retombées étaient considérés plus factuels (notamment manifestations, rapports, techniques nouvelles, livres traduits). Si les programmes avaient et (à plus forte raison ont aujourd'hui) une faible notoriété même auprès des usagers potentiels, ils avaient cependant produit des résultats aux effets positifs. En effet, si les programmes n'avaient pas suscité la création d'emplois durables, ils avaient cependant fourni une expérience et un savoir-faire qui ont bénéficié à plusieurs personnes pour obtenir un emploi stable ailleurs.



34. En d'autres termes l'évaluation, tout en mettant à plusieurs reprises (quoique indirectement) l'accent sur la carence des moyens financiers engagés dans les trois programmes, indiquait que, dans ces limites, les résultats obtenus pouvaient être considérés comme étant positifs. Même si “à posteriori” l'on découvrait donc que la Commission s'était plutôt bien tirée d'affaire dans les limites qui lui avaient été imposées.



Culture 2000 : son contenu

35. Mais en 1998, il n'était pas encore question d'évaluation des premiers programmes. La proposition de la Commission au Parlement et au Conseil reprenait dans une sorte de programme-cadre le contenu des actions précédentes en, le cas échéant, le modifiant et le développant.



36. Le nouveau programme (Décision n. 508/2000 CE du P.E. et du Conseil JO L63 du 10.03.2000) accordait des subventions à des projets de coopération culturelle dans tous les domaines artistiques et culturels (arts du spectacle, arts plastiques et visuels, littérature, patrimoine, histoire culturelle). Ses objectifs étaient la mise en valeur d'un espace culturel commun caractérisé par ses diversités culturelles et par son héritage culturel commun. Culture 2000 . visait à encourager la création et la mobilité, l'accès de tous à la culture, la diffusion de l'art et de la culture, le dialogue interculturel et la connaissance de l'histoire des peuples européens. Il plaçait également la culture comme facteur d'intégration sociale et de développement socio-économique.

La Commission était assistée d'un comité mixte (de gestion pour la plupart des matières, consultatif pour le reste) pour la mise en œuvre du programme. Ce dernier avait pour but de contribuer à la mise en valeur d'un espace culturel commun aux Européens, en favorisant la coopération entre les créateurs, les promoteurs publics et privés, les responsables d'activités des réseaux culturels et d'autres partenaires ainsi qu'entre les institutions culturelles des Etats membres en vue d'atteindre les objectifs suivants:

• la promotion du dialogue culturel et de la connaissance mutuelle de la culture et de l'histoire des peuples européens;

• la promotion de la créativité, de la diffusion transnationale de la culture et de la mobilité des artistes, des créateurs et d'autres acteurs professionnels de la culture ainsi que de leurs œuvres, en mettant tout particulièrement l'accent sur les jeunes et les personnes socialement défavorisées ainsi que sur la diversité culturelle;

• le partage et la mise en valeur, à l'échelon européen, du patrimoine culturel commun d'importance européenne, la diffusion du savoir-faire et la promotion des bonnes pratique pour préserver et sauvegarder le patrimoine;

• la prise en compte du rôle de la culture dans le développement socio-économique;

• la promotion du dialogue interculturel et d'un échange mutuel entre les cultures européennes et non européennes;

• la reconnaissance explicite du rôle de la culture en tant que facteur économique et facteur d'intégration sociale et de citoyenneté.



L'impasse budgétaire

37. Les négociations furent longues. Mais non pas à cause de positions particulièrement rigides véhiculées par différents pays: en effet dans son ensemble, avec des modifications mineures par ci et par là, le texte était largement acceptable pour les délégations ainsi que pour le Parlement européen. Le problème véritable, la réelle pierre d'achoppement était, une fois de plus, l'enveloppe budgétaire.

Dans sa proposition la Commission fixait le budget global du programme à 167 millions € pour une durée de cinq ans (2000-2004). Plusieurs pays ainsi que le Parlement considéraient ce montant insuffisant par rapport au champ d'application du programme. La Commission, quant à elle, avait pour des raisons tactiques choisi de se limiter dans ses ambitions en espérant que les efforts escomptés de nombreuses délégations et du Parlement produiraient à la fin du débat un budget plus important. Ce calcul, pourtant raisonnable, était cependant voué à l'échec: l'opiniâtreté d'une délégation pouvant se prévaloir de la règle de l'unanimité bloqua pendant des longs mois les discussions avant d'imposer au Conseil et au Parlement une solution de bas profil.



38. Paradoxalement la délégation qui s'avérait intraitable sur le financement du programme fut celle des Pays-Bas qui, lors de sa présidence avait pourtant pris l'initiative de la décision de 1997 sur l'avenir de l'action culturelle en Europe. Sa position au cours des négociations était que le budget prévu devait être revu de façon draconienne à la baisse. On crut revivre les mêmes discussions et les mêmes argumentations développées lors du processus qui conduisit, après beaucoup de tiraillements, à l'adoption des trois premiers programmes. A la fin de 1998 la présidence autrichienne avait pratiquement achevé parfaitement son mandat: la “position commune” du Conseil ne put cependant pas être adoptée, faute d'unanimité: une question d'argent, encore et toujours. En effet la revendication des Pays-Bas était que l'enveloppe budgétaire du futur programme devait être ramenée en dessous de 100 millions € et cela pour couvrir la durée prévue du programme de cinq ans.



39. Les mois s'écoulèrent sans que l'impasse puisse être contournée. Enfin, ce fut dans le cadre d'une réunion informelle des ministres de la culture, convoquée par la présidence allemande à Weimar en mai 1999 que l'on réussit à parvenir à un accord, confirmé officiellement lors de la réunion formelle du Conseil qui se déroula dans le courant du mois de juin. L'accord consistait dans la fixation de l'enveloppe budgétaire au niveau proposé par la Commission dans sa proposition, à savoir 167 millions € pour cinq ans. Et cela indépendamment de l'avis du Parlement qui demandait un montant plus généreux: le chiffre de 167 millions € devait être maintenu même après l'inévitable procédure de conciliation entre le Conseil et le Parlement, sans quoi les Pays-Bas retiraient leur accord et, faute d'unanimité, le programme ne pourrait pas être adopté. Les Pays-Bas qui bénéficiaient de l'appui d'autres pays plutôt restrictifs en matière de financements à accorder à la culture et/ou de financements communautaires en général et soulagés d'avoir quelqu'un qui faisait pour eux le “sale boulot” en première ligne n'infléchirent jamais leur position. Ils eurent gain de cause: la décision établissant le programme Culture 2000 fut adoptée par le Conseil et le Parlement au début de l'année dont elle porte le nom.

Nous parlerons dans un chapitre à part de la position délicate dans laquelle se trouva et se trouve le Parlement européen appelé à négocier sur un acte que son interlocuteur institutionnel, le Conseil, ne considère pas comme étant négociable. Cette question n'est pas prête d'être résolue, surtout après les résultats des référendums sur le traité constitutionnel en France et aux Pays-Bas et qui resurgira probablement au cours des négociations sur les nouvelles propositions de la Commission.



Prorogation du programme Culture 2000

40. Pendant l'échange de vues sur ce sujet, lors de la session du Conseil Culture/Audiovisuel du 23 mai 2002, la plupart des délégations avaient appuyé les intentions de la Commission de proposer une prolongation de ce programme durant les années 2005 et 2006 afin de permettre une réflexion approfondie en vue de la préparation de futures propositions relatives à l'avenir de la coopération culturelle européenne au-delà de 2006. On souhaita néanmoins que certains défauts apparus dans le programme actuel soient éliminés. La Commission estimait qu'il lui serait possible d'y remédier en procédant à une modification de certains éléments de la mise en œuvre annuelle du programme.



41. En avril 2003, la Commission avait présenté une proposition visant à prolonger ce programme sans le modifier pendant deux ans (jusqu'à la fin de 2006) dans le but de correspondre aux perspectives financières en vigueur. Le budget global pour le programme prorogé avait été fixé à 236,5 millions € (à savoir 69,5 millions € de budget supplémentaire; compte tenu de l'élargissement en cours, on ne pouvait pas dire qu'il s'agissait d'une augmentation significative). Cette proposition avait été adoptée par le Conseil et le Parlement le 31 mars 2004. Dans l'exécution du programme l'on peut noter que pour l'année 2000, la Commission donna la priorité aux projets proposant des productions culturelles concrètes, telles qu'éditions, festivals, expositions, chantiers de restauration et aux projets d'adressant à un public plus large, y compris les jeunes.

Pour l'année 2001, la Commission européenne apporta son soutien à des initiatives se développant dans les quatre domaines suivants:

• le patrimoine culturel commun (mobilier, immobilier, architectural, archéologique);

• la création artistique et littéraire européenne;

• la connaissance mutuelle de l'histoire et de la culture des peuples d'Europe;

• les initiatives du type “actions réservées” (présidence du Conseil, capitales européennes de la culture).

En 2002, 2003 et 2004 un seul secteur culturel fut privilégié et plus précisément en 2002 le principal secteur traité fut celui des arts visuels. En 2003, c'était celui des arts du spectacle et en 2004 celui du patrimoine culturel.
E poi mi piace impiccare i piccioni e dire a gente tipo Jaja82: "ma chi te se incula?" "io"

9:24 PM  
Blogger Marco Ferri said...

X l'ultimo anonimo:

Traduzione per i non francofoni, no?

10:41 PM  
Blogger Grisson said...

X Lale: teoria interessante

X Marco Ferri: Ma Freud sniffava viagra...

X Giovanni: ora li gioco sti numeri e poi ti dico

Adie

10:17 AM  
Anonymous Anonimo said...

ma nn puoi semplicemente ammettere che hai trombato una volpe!!!e sei diventato papà??!?!?!?
ahahhahaha
nn ci capisco una cippa di queste cose..e anche di molte altre del resto....sorry!

10:30 AM  
Blogger ggrillo said...

L'interpretazione di dessd non fa una grinza, d'altra parte la zoofilia è ampiamente accettata da almeno 5 risoluzioni dell'Aia

10:57 AM  

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